L’arpeggio del piano e il tempo di testa che ondeggia.
Nel black out del tintinnio delle birre riposa ancora quel giorno di fine estate.
Tu fratello senza controllo e io spettatore dello spazio d’intorno.
Oggi restano queste piogge di inizio freddo che lavano l’onta della morte e portano indietro il puzzo d’una adolescenza che a rammentarla sa di remoto stantìo.
Ti cerco nella rubrica ingiallita dell’agenda del quinto anno alla lettera F.
Ma tentenna la mano alla nostalgia patetica del ‘‘come eravamo’’ e trema il cuore al timore di ritrovarci ancora e sempre uguali.
Se tutto si trasforma noi non siamo più noi.
E se anche lo fossimo non avremmo niente di nuovo da dirci.
Prosit a tutto ciò che avremmo voluto essere e non siamo stati mai.