Agosto

A volte mi chiedo come facciano certe persone a vivere, a sembrare così, non dico felici o serene o pacificate, ma così come sono, con quell’espressione che sembra dica che, tutto sommato, le cose potrebbero anche andare peggio, o male, e che quindi, in fondo… Ecco, mi chiedo come facciano quelle persone lì, quelle che leggono e scrivono e studiano, che lavorano d’intelletto, che riflettono sulle cose, le analizzano, le sviscerano, le interpretano; come fanno, dico, a non accorgersi, alla fine, dell’inutilità del tutto, del vuoto nel quale girano, del circo che rappresentano, dell’angolo di spazio per il quale sgomitano – foss’anche per un minuto, per il subitaneo riconoscimento di un ruolo sociale finalmente conclamato, quando si può essere ciò che si vuole gli altri pensino si sia; come fanno a predicare profondità e acutezza senza che nei loro occhi non passi mai – e mai nei loro gesti, nel tono incrinato della voce, in un’ombra sul viso, in un’espressione fuori controllo, in una virgola mal posta – il dubbio inevitabile che l’unica via coerentemente percorribile sia quella della dissoluzione, dell’abbandono, della fine?
O forse quel pensiero lo nascondono in vecchie camere in affitto, dietro armadi sbilenchi che hanno visto padroni e cambi di stagioni susseguirsi senza sosta; nelle macchinette del caffè senza manico, nei piatti sbrecciati, nei bicchieri opachi di calcare, in armadietti stipati di creme scadute, in frigoriferi mai sbrinati, nei batuffoli di polvere sotto al letto, nello stendino arrugginito in corridoio. In una sveglia puntata l’ennesima notte, per ricominciare ancora. Nonostante tutto.

Agosto