Ipotesi di corrispondenze mai avvenute #1

Quando ti ho detto di andare intendevo che avresti dovuto andare via del tutto, e non restare qui come ombra negli occhi, pensiero nella testa, o ferita sulla pelle.
Ciò che volevo era mettere una distanza fra quello che eravamo e abbiamo smesso di essere, così, d’un tratto, senza che nulla si prospettasse o lasciasse presagire l’inevitabile.
Nel momento in cui ho pronunciato quelle parole, sapevo che non mi sarei pentito un attimo, che ormai la questione era scegliere fra te o me, non potendo più darsi un noi che non fosse un eterno conflitto, un costante esercizio di battaglie recalcitranti.
La mia non è stata una questione di difesa, ma di sopravvivenza. Non si trattava più di difendersi dalle piccole meschinità – le tue come le mie – dai sottintesi, dalle ripicche, dai risentimenti che si attorcigliavano come il tubetto del dentifricio che, ironia, per noi non ha mai preso il posto di nessun cliché.
No, la mia è stata una questione di sopravvivenza. Scappare più veloce del predatore, nascondersi nelle tane più buie e irraggiungibili, scalare gli alberi più alti e ciononostante essere sempre all’erta, non abbassare mai la guardia, temere che per un pericolo evitato ve ne fosse sempre un altro pronto a prenderne il posto, ad attaccarmi non appena mi fossi concesso non il lusso quanto il diritto sacrosanto a rilassare per un attimo i nervi, riposare i muscoli. Ed è stata sopravvivenza il tenere a freno il mio risentimento, quella violenza che sentivo crescere dentro e che, prima o poi, mi avrebbe reso insopportabile a me stesso.
Perché il punto era tutto qui, in quel dentro che sentivo tramutarsi in un gomitolo rancoroso, un grumo insopportabile di alterità che, in una sua inspiegabile qualità tentacolare, iniziava a inerpicarsi lungo gli organi, circuendoli con carezzevole lascivia.
Era insomma quel mio stesso mutare a misura del tuo essere, del tuo comportarti, degli accidenti del tuo atteggiarti che mi era oltremodo inviso: una dichiarazione, tanto solenne quanto silenziosa, di sconfitta; il rendersi conto di aver imboccata l’angusta strada di un cambiamento che non volevo (quantomeno non in quei termini e in quei modi), che mi avrebbe portato, con l’inesorabilità di un timer collegato a una bomba, ad esplodere in infiniti minuscoli pezzi che, una volta rimessi insieme, avrebbe dato di me un’immagine destituita di qualsivoglia legame con ciò che di me prima precedeva.

Ipotesi di corrispondenze mai avvenute #1